venerdì 8 novembre 2013

Il punto della situazione sulle novità del caso / Nuove considerazioni sul triplice delitto


Negli ultimi 8 mesi il caso della strage di via Caravaggio si è arricchito, rispetto al passato, di tre elementi nuovi. Ripercorriamoli in ordine cronologico:

-Marzo 2013 (programma tv "Il Giallo e il Nero"): la Dott.ssa Anna Maria Di Giulio, consulente scientifico, ha dichiarato che se dobbiamo prendere atto del fatto che nel 1975 le impronte di scarpa rilevate nelle tracce di sangue risultarono appartenere ad un numero di piede "41-42", sulla base delle rilevazioni tecniche di 38 anni fa, oggi nessuno può darci la certezza di una conferma o di una smentita dello stesso dato. In altri termini: sarebbe opportuno ripetere le analisi di laboratorio su quelle impronte. Perchè l'analisi di un dato di questo tipo richiede l'applicazione di un metodo scientifico estremamente rigoroso. Come le Scienze forensi insegnano, infatti, le impronte di scarpa vanno definite sia per caratteri generali (Forma - Dimensioni) che specifici (Creste papillari) e solo dopo un accurato studio si può pervenire ad un giudizio di "Utilità - Non Utilità - Non Utilità per confronti positivi / Utilità per confronti negativi". E gli strumenti che chiaramente esistono adesso consentono di operare tenendo conto di tutte le caratteristiche e di tutti i parametri. Evidentemente dobbiamo concludere che nel 1975 la Scientifica si limitò a prendere le misurazioni di quelle impronte così per come si presentavano "stampate" nelle macchie di sangue sui pavimenti. Sarebbe un metodo impreciso probabilmente perchè, ce lo ha detto la Dott.ssa Di Giulio, le impronte si erano formate attraverso tracce ematiche: il sangue, per la sua vischiosità, può alterare, può deformare le caratteristiche reali della scarpa che si è poggiata su di esso. Tutto questo significa, in estrema sintesi, che se oggi la Scientifica andasse ad esaminare quelle impronte, e se con un pò di fortuna fosse possibile arrivare a risultati di "Utilità", tanto potrebbe venire fuori la conferma di un piede numero "41-42", tanto potrebbe venire fuori un diverso numero di piede. Maggiore, ad esempio. Questo comporterebbe, poi, il dover rimettere in discussione tutto. Anche a livello di persone che sono entrate in questa storia. A qualcuno questa constatazione potrebbe far "cascare le braccia" ma dobbiamo accettare quello che oggi, e solo oggi, la Scienza ci consente di fare.

-Marzo 2013 (programma tv "Il Giallo e il Nero"): Santino Simonetti, figlio dell'inquilina di via Caravaggio 78 Caterina Simonelli, ci ha raccontato tutto ciò che realmente sua madre sentì la notte del 30-31 ottobre 1975. I Simonetti abitavano al terzo piano di quel palazzo e avevano l'appartamento in posizione sotto stante a casa Santangelo. Precisamente avevano la loro camera da letto in posizione sotto stante alla camera da letto matrimoniale e alla cucina dei Santangelo. Intorno alle ore 23:30 circa la signora Simonelli (che si trova nel proprio letto) avverte un grido soffocato di donna e un tonfo. Fino all'1:00 del mattino sente i passi di una persona che va avanti e indietro nella casa del delitto e che sembra non si preoccupi di nascondere la propria presenza. Si accorge anche di rumori da trascinamento prodotti da qualcosa di pesante che veniva spostato da un punto all'altro di casa Santangelo. Tra l'1:00 e le 3:00 cessano passi e rumori. Alle 3:00 ricominciano invece e terminano definitivamente alle ore 5:00. Durante il sopralluogo dell'8 novembre 1975 sera gli inquirenti notarono che gli orologi elettrici di casa Santangelo (l'assassino aveva staccato il contatore andando via definitivamente) erano fermi a poco dopo le ore 5:00 del mattino (del 31 ottobre). Tra le 3:00 e le 5:00 la signora Simonelli sente però i passi di due persone presenti in quella casa. O, almeno, è questa la sensazione che avverte. La sensazione di un "eco" provocato come dal passo di due persone che si spostano contemporaneamente in quella abitazione. Vale la pena di sottolineare che tra pagina 83 e pagina 86 delle motivazioni della sentenza del 6 marzo 1981 con la quale la Corte d'Assise d'Appello di Napoli assolse per insufficienza di prove Domenico Zarrelli, il Tribunale di secondo grado scrive che gli inquirenti ebbero l'impressione, a seguito dei rilievi della Scientifica, che sui pavimenti dell'appartamento vi fossero impronte di scarpa diverse. Alcune compatibili con un certo tipo di scarpa, altre con un'altra. E' un dubbio, però, sul quale il Tribunale di secondo grado non potè fare chiarezza di suo. Perchè (è scritto nelle motivazioni di quella sentenza) si può anche concludere che le impronte assunsero caratteristiche diverse in quanto i pavimenti delle stanze presentavano caratteristiche diverse. E questo può aver causato il formarsi di impronte apparentemente dissimili in realtà corrispondenti allo stesso tipo di scarpa. Come vedete abbiamo un motivo in più sia per ritenere possibile, verosimile la sensazione avvertita dalla signora Simonelli nella seconda parte di quella notte di orrori in casa Santangelo sia per prendere atto dei dubbi che la Dott.ssa Di Giulio ha legittimamente, scientificamente posto sull'infallibilità del numero di impronte di scarpa ricostruito dagli inquirenti nel 1975. Solo nuovi esami di laboratorio, adesso, potrebbero sciogliere tutti questi dubbi incrociati.

-Ottobre 2013 (portale di giornalismo-web "Cronaca-Nera.it"): il giornalista Fabio Sanvitale, con un suo articolo, ci porta pubblicamente a conoscenza di un fatto importante. E cioè: la Procura di Napoli (che nel frattempo ha riaperto l'indagine sul caso) ha disposto una analisi di laboratorio eseguita dalla Scientifica su macchie di sangue rinvenute su un reperto della scena del crimine, un asciugamano. L'esame si è concluso agli inizi del maggio 2013 ma la Procura ha, fino ad oggi, mantenuto assoluto riserbo sull'esito di questa verifica tecnica. Quindi per il momento non ci è dato sapere se l'esame ha incontrato insuccesso oppure se è venuto fuori un profilo genetico da quelle macchie di sangue e, in tal ultimo caso, a chi apparterrebbe. A una delle tre vittime o ad un soggetto estraneo che, a questo punto, dovrebbe essere l'assassino?

Io ho molta fiducia nell'operato e nella scrupolosità del Procuratore aggiunto di Napoli Dott. Giovanni Melillo, il magistrato inquirente che nel novembre del 2011 ha preso in mano questa terribile storia di cronaca (almeno al momento insoluta) sulla base di una relazione che fu depositata in Procura e che fornì una ricostruzione cronistica, criminologica e scientifico forense sui dati più importanti inerenti questa storia. Posso dire tutto questo con cognizione di causa perchè anche io partecipai (con altre 4 persone) alla preparazione di quella relazione. Contribuì alla stesura della parte cronistica, la firmai e partecipai (assieme agli altri) ad un colloquio che si tenne in Procura nell'ufficio del Dott. Melillo il 16 novembre 2011 per discutere del tutto con ognuno di noi.

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Sulla base di alcuni dei nuovi dati emersi proviamo a proporre ancora una ricostruzione dei fatti.

30 ottobre 1975, ore 23:30. Qualcuno bussa alla porta di casa Santangelo. Se questi viene fatto entrare nell'appartamento (da Domenico Santangelo) a quell'ora e in un momento in cui le vittime non si trovano insieme e non si trovano in condizioni tali per ricevere qualcuno (anzi: Gemma e Angela se ne restano rispettivamente in cucina e nella camera da letto matrimoniale) è perchè la visita è inaspettata. Ma si tratta di una persona che è familiare ai Santangelo o si tratta di un tizio che è voluto andare lì a regolare rapporti d'affari importanti anche senza preavviso? Ad ogni modo a riceverlo può essere stato proprio Domenico Santangelo. Nello studio. Se il movente è legato agli affari, e se questi affari non riguardavano il capo-famiglia in persona o direttamente, il Santangelo decide di perorare la causa e di affrontare la situazione al posto di altri. Se invece non è questo il movente, e quindi se si trattava di una persona che aveva un rapporto di familiarità con i Santangelo, allora doveva trattarsi di qualcuno che intendeva discutere o con Angela Santangelo o con Gemma Cenname (non possiamo però escludere che il motivo della visita fosse proprio Domenico Santangelo). Ma anche in questo caso possiamo ipotizzare che è Domenico Santangelo, il capo-famiglia, ad affrontare la situazione. Discute con l'ospite, dopo averlo ascoltato prende le difese della figlia o della moglie, una parola fuori posto, il raptus, la strage.

Fino all'1:00 del mattino l'assassino resta da solo in quella casa. Si da un bel da fare per spostare i cadaveri. All'1:00, però, ritiene di avere bisogno di un aiuto. Per che cosa non lo sappiamo. Chiama con il telefono di casa Santangelo una persona a lui molto nota. Gli spiega tutto e richiede il suo intervento. Se l'assassino fa tutto questo è perchè è più che sicuro che la persona da lui contattata terrà la bocca chiusa su tutto. Si fida. Non ci si può fidare di un estraneo. Assolutamente. Quindi deve esistere uno stretto rapporto tra l'assassino e questo complice. Interessi in comune o rapporti familiari in comune.

L'assassino, al telefono, gli dà indicazioni su dove si metterà ad attenderne l'arrivo. Il complice, infatti, arrivando in via Caravaggio, dovrà passare in corrispondenza di una certa finestra. Cosìcchè, vedendolo arrivare, l'autore del triplice delitto gli aprirà il portone dall'appartamento senza obbligare il suo complice a bussare dall'esterno. Rischiando così di produrre rumori sospetti, giù al palazzo, nel cuore della notte. L'assassino lo attende vicino al davanzale di una finestra.

Il complice arriva alle 3:00 del mattino. Trafficano in quella casa. Perchè? Per depistare le indagini? La Polizia ebbe l'impressione, nel 1975, che un pò tutta la scena del delitto si presentasse come "artefatta". Impressione giusta o sbagliata? Certo è che un motivo ci deve pur essere (se anche non fosse questo) per prolungare fino alle 5:00 del mattino una permanenza in quella casa.

Nella camera personale di Angela Santangelo la Polizia trovò un cassetto della scrivania aperto, la borsa rovesciata sul letto della ragazza, il contenuto all'esterno della borsa e sul letto. L'assassino aveva un legame con Angela e portò via qualcosa? L'assassino non aveva nessun legame con Angela ma si volle accertare che la ragazza non conservasse qualcosa di compromettente che portasse a lui? L'assassino non aveva nessun legame con Angela e, nella stanza della ragazza, mise in atto un depistaggio per far pensare ad un delitto compiuto per motivi collegati alla persona di Angela?

Il trattamento riservato al cadavere di Angela, con una certa cura - L'assassino lo fece perchè probabilmente provò rimorso per aver ucciso Angela, dopo essersi ripreso dal furioso raptus. Ma perchè provò rimorso? Perchè nutriva dei sentimenti verso Angela o perchè (pur non nutrendo sentimenti verso di lei) provava dispiacere nel fatto che c'era andata di mezzo anche la ragazza e per il semplice motivo che lei era stata presente in casa al momento dell'omicidio di Domenico e Gemma?

Il colpo da punta e taglio all'epigastrio di Angela / I cadaveri nella vasca riempita con acqua fredda / le porte chiuse delle stanze con dentro i cadaveri - Tutto questo fa proprio pensare all'agire di qualcuno che aveva nozioni di medicina. Lo disse il Medico legale perito della Procura della Repubblica di Napoli nel 1975, il Prof. Achille Canfora. Quindi chi compì quelle azioni successive poteva essere o un praticante di attività mediche o qualcuno che quanto meno aveva una istruzione su nozioni mediche. Non è da tutti, infatti, arrivare a escogitare certi sistemi successivamente al compimento di un omicidio. Lo dimostra il fatto, ad esempio, che nella puntata di "Blu Notte" del 1999 dedicata a questo caso il consulente scientifico della trasmissione, il funzionario di Polizia Dott. Silio Bozzi, non riuscì in sostanza a dare una spiegazione del perchè i cadaveri fossero stati adagiati dentro la vasca da bagno. Io stesso (che non sono un medico e che non ho fatto studi in Medicina), prima di leggere le considerazioni tecniche fatte nel 1975 dal Prof. Canfora, non riuscivo a spiegarmi il perché del deposito dei cadaveri di Domenico Santangelo e di Gemma Cenname nella vasca del bagno padronale.

 

Daniele Spisso

 

 

 

 

20 commenti:

  1. Davvero i miei complimenti, Daniele, avevo capito dalla precisione e accuratezza con cui hai costituito questo blog che hai lavorato molto e bene su questo caso, ma non avevo capito quanto attivamente tu ci stessi lavorando. Complimenti.
    Facciamo tutti il tifo per il dott. Melillo che sta riprendendo in mano questo caso, reso difficoltoso dai 38 anni trascorsi da quella orribile notte, sperando che la parola fine venga finalmente scritta.
    Grazie per tutto quello che stai facendo per quella povera famiglia e tutti ci auguriamo che, anche grazie al tuo contributo, finalmente la verità se non giustizia almeno la strage dei Santangelo l'ha avuta.
    Maria

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  2. Ti ringrazio molto Maria. E condivido ciò che hai scritto.

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  3. (1) Nei commenti relativi ad un paragrafo del 3 maggio 2012, Maria, mi chiedevi tra l'altro di Fausta Cenname. Ovvero di una cugina degli Zarrelli che lavorava come parrucchiere per donne in un salone del quartiere napoletano Vomero, che manteneva frequenti contatti con la signora Gemma Cenname e con lo studio ostetrico di quest'ultima, che con un suo ricordo recente (ottobre 1975 - in occasione di una festa in casa di Angela Santangelo) fece inconsapevolmente nascere una pista-De Laurentiis e che andò a trovare la signora Gemma in via Caravaggio la mattina del 30 ottobre. Fausta Cenname, lo ricordo, è anche la persona che il pomeriggio dell'8 novembre partecipò alle ricerche dei Santangelo assieme all'avv. Mario Zarrelli e alla moglie di quest'ultimo, Elisa Testa. Come già ti dissi in quei commenti, le mie ricerche su questa persona sfortunatamente non hanno avuto esito e gli Zarrelli non hanno potuto essermi d'aiuto in quanto mi hanno dichiarato di aver perso da molto tempo (da molti anni) i contatti con questa loro cugina. Visto che hai mostrato interesse alla figura di questa donna, e anche per completezza d'esposizione dal punto di vista cronistico, volevo aggiungere questo (è tutto agli atti del processo - tra l'altro): Fausta Cenname fu, per un certo periodo di tempo, un "personaggio-chiave" (o presunto tale) del processo di primo grado a carico di Domenico Zarrelli. Per il semplice motivo che lei, d'improvviso, comunicò agli inquirenti di sapere che una persona della loro stessa famiglia avrebbe avuto una prova della colpevolezza di Domenico Zarrelli. Gli investigatori le domandarono "Chi?". Lei, dopo atteggiamenti un pò strani/un pò reticenti, disse che si trattava di Wanda Zarrelli (una loro parente che all'epoca faceva la farmacista). Per non fartela troppo lunga: in sintesi Fausta Cenname raccontò che un giorno, in occasione di un pranzo, i Cenname-Zarrelli (presenti questa Wanda e l'ex imputato Domenico) stavano discutendo a tavola di un tragico fatto che nel 1969 era capitato a loro. Nel maggio del 1969, infatti, a Telese, un giovane squilibrato (che fu identificato e arrestato) aveva ucciso un loro parente (cioè un parente degli Zarrelli), la moglie di questi, il figlio di questi due per odio personale verso le vittime. Si trattava di una persona che faceva il medico e che si chiamava anche lui Domenico Zarrelli (la notizia è riportata nelle pagine de "Il Mattino" del novembre 1975). A tavola, quindi, (racconta Fausta) si stava discutendo di questo omicidio accaduto a Telese ai danni di un loro parente e si stava parlando dell'argomento "Delitto perfetto", cioè del modo in cui si può compiere un "delitto perfetto". Secondo il racconto di Fausta, l'ex imputato Domenico (al momento di dire la sua sull'argomento) avrebbe dato una spiegazione del "delitto perfetto" che sarebbe stata l'esatta riproduzione della strage di via Caravaggio del 30 ottobre 1975. Anche per quanto riguarda il dare un colpo da punta e taglio all'epigastrio di una persona al fine di accertarsi se questa persona fosse ancora viva o già morta. E tutto questo lo avrebbe sentito a tavola (in quella occasione a pranzo) tale Wanda Zarrelli (che a sua volta lo ha raccontato a Fausta Cenname dopo aver saputo della strage di via Caravaggio).

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  4. (2) La cosa suscitò molta impressione negli inquirenti perchè in quel momento Domenico Zarrelli era il loro sospettato, perchè Angela Santangelo fu attinta da un colpo da taglio inferto all'epigastrio quando era già morta (non vi fu fuoriuscita di sangue) e perchè, ricostruendo il percorso di studi universitari dell'ex imputato, si era scoperto che lui (frequentando Giurisprudenza) aveva partecipato ad un corso di Medicina legale previsto nel piano di studi all'Università. Quando, al processo di primo grado, fu convocata Wanda Zarrelli quest'ultima non smentì il racconto di Fausta Cenname ma aggiunse che i fatti erano stati molto enfatizzati ed ingigantiti da Fausta e che in realtà non stava parlando di quel vecchio pranzo in famiglia per affermare che secondo lei Domenico era l'autore della strage di via Caravaggio. La Corte di primo grado, a questo punto, capì che Fausta Cenname aveva esagerato (moltissimo) a dire "C'è una persona che ha la prova della colpevolezza dell'imputato" e concluse che Wanda Zarrelli era stata testimone di una discussione in famiglia che non poteva essere accettata come dato processuale. La stessa Wanda Zarrelli riportò "nei binari" il racconto pieno di enfasi e di eccessi fornito da Fausta Cenname. Nella puntata di Telefono Giallo del 23 dicembre 1988 (che trattò questo caso) fu affrontato tra l'altro questo dettaglio del pranzo in occasione del quale si parlò del "delitto perfetto": l'avv. Antonio Coppola spiegò che questo racconto fu ampiamente affrontato nel corso dei processi Zarrelli e che alla fine non fu considerato dato a carico dell'ex imputato perchè fu stabilito che, in quella occasione, la descrizione emersa a tavola si inquadrava invece in un "delitto imperfetto". Non solo: nel più imperfetto dei delitti. Fausta Cenname passò anche dei guai giudiziari tra l'altro perchè al processo (dove assunse un atteggiamento quasi spaventato - per motivi che lei stessa non specificò bene e in maniera logica) fu accusata di falsa testimonianza. Venne arrestata e per un pò di tempo stette dentro. Fu rilasciata e poi assolta per insufficienza di prove nel 1978. Durante il periodo della sua detenzione, la sua casa fu violata da sconosciuti che la misero a soqquadro. Fausta si disse convinta che questa operazione intimidatoria fu posta in essere stesso dagli Zarrelli. Da allora ruppe i rapporti con loro e non li volle più vedere.

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  5. Accipicchia Daniele, di tutti questi retroscena tra cui la testimonianza che coinvolse Wanda Zarrelli sinceramente non ne ero a conoscenza.
    In realtà ti avevo chiesto se tu avessi avuto modo di parlare con Fausta perchè l'elemento che veniva in mente a me, in realtà, era un altro.
    Ricordo di aver letto ( ti prego, correggimi se sbaglio, non voglio dire o insinuare cose non vere, per carità), che in occasione della festa che si tenne in casa Santangelo i primi di ottobre dello stesso 1975 in cui era presente anche Fausta, la stessa notò che quando Angela vide entrare il Dott De Laurentiis insieme alla moglie, la giovane Santangelo le apparve visibilmente turbata.
    Insomma, ho avuto la "sensazione", che fu la stessa Fausta ad ipotizzare, o comunque a lasciar intendere agli inquirenti, che vi fosse una relazione tra Angela ed il Dott. De Laurentiis. O che comunque, in qualche modo, questa pista fosse partita anche da lei.
    Io speravo che tu fossi riuscito a parlarle, magari anche con un colloquio informale, e a capire, per quello che si possa ricordare dopo tanti anni, qualora vi fossero testimonianze dirette di questa presunta relazione (senza la quale, oggettivamente, la pista De Laurentiis si indebolirebbe molto) o se fossero solo "chiacchiere di corridoio": consideriamo il momento storico, il 1975. Una relazione extra coniugale di un illustre medico di mezza età sposato con una giovane poco più che adolescente avrebbe causato non poco scalpore...(Segue)

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  6. In ogni caso Daniele ti ringrazio per queste ulteriori notizie, non solo per dovere di cronaca, ma anche perchè la posizione di Fausta, alla luce di questi eventi, assume di certo un ruolo ben diverso.
    Adesso capisco perchè gli Zarrelli non hanno più contatti con lei. Nel senso, comprendo anche le ragioni dell'avv Mario e di Domenico nel voler tagliare i ponti con la cugina. Con questa testimonianza in cui coinvolse la parente Wanda, di certo aggravò notevolmente la posizione di Domenico in un contesto in cui già gli inquirenti non stavano indagando a fondo (e questo è un triste dato di fatto!!) su altre probabili piste investigative degne di essere approfondite e si stavano già "incaponendo" su di lui.
    A questo punto viene spontaneo chiedermi che tipo di persona fosse Fausta. Nel senso, sappiamo che vedeva spesso la zia, la signora Gemma, frequentando spesso il suo studio di ostetrica in Via Fiore. Sappiamo che si recò quell'8 novembre insieme al cugino Mario Zarrelli e sua moglie sia nello studio della zia che al commissariato a denunciare la scomparsa dei loro cari (con il tragico rinvenimento di cui tutti sappiamo), e sappiamo che insinuò lei stessa, direttamente o indirettamente, che vi era qualcosa che andasse "oltre" il rapporto di lavoro tra il medico dell'INAM con la giovane Angela.
    Da persona comune mi verrebbe da pensare che fosse una persona molto presente e molto "protagonista" per essere così al di fuori delle indagini. In termini giuridici oserei dire ..."teste inattendibile"? Scusami Daniele non voglio assolutamente trasformare il blog in un rotocalco di gossip, ho moltissimo rispetto per te e per il tuo lavoro portato avanti con impegno e fatica. E capisco quanto tu abbia fatto molto per mantenere un profilo il più possibile distaccato ed estremamente attenente ai fatti, ma queste ulteriori notizie rendono la figura di Fausta e la sua posizione un po' più complessa di quello che sembrava.

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  7. Fausta Cenname è rimasta infatti una figura un po' strana a mio avviso. Diceva, non diceva, mostrava di essere spaventata ma non specificava per cosa. Penso che Fausta Cenname era una persona che aveva ritenuto di poter dare un aiuto alla giustizia riportando ciò che aveva saputo da Wanda Zarrelli. Non ho bisogno di correggerti su quanto hai affermato perché ricordi bene: Fausta fece capire agli inquirenti d'aver intuito (sulla base di uno/due episodi dei quali lei fu casuale testimone) che questo dott. De Laurentiis potesse avere un interesse nei confronti di Angela Santangelo. Questo spunto è entrato poi a far parte del lavoro difensivo dell'avv. Mario Zarrelli, il quale (assieme alla pista-Turro) portò in Tribunale (nei processi di merito a carico di suo fratello, Domenico Zarrelli) dei sospetti sul conto del De Laurentiis. I dati principali che "compongono" le due piste (Turro-De Laurentiis) sono stati riassunti dalla Corte d'Assise d'Appello di Napoli nella parte finale delle motivazioni della sentenza del 6 marzo 1981. Naturalmente anche la Polizia giudiziaria, nel 1975, si occupò del dott. De Laurentiis ma certamente non con soddisfacente, ed esauriente, impegno ed energie. Tutto ciò che è stato ritenuto dimostrazione di parzialità investigativa nell'affrontare (nel 1975-'76) la pista-De Laurentiis è stato raccolto e segnalato dall'avv. Mario Zarrelli al Tribunale civile di Napoli nella causa civile promossa in favore di Domenico Zarrelli.

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  8. Va bene, pur ammettendo una tolleranza nel reale numero di scarpa dell'assassino, va considerato che nel '75 stimarono un "range" tra 41 e 42. Quindi, anche considerando che il sangue può aver "ristretto" leggermente l'impronta, portandolo verso un 41, ciò non esclude affatto la misura immediatamente superiore... Il dottor De Laurentiis, quale numero portava? Il 42? (A proposito, se non ricordo male, all'epoca aveva 38 anni, vero? )

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  10. La cosa importante, però, è che stavolta si indaghi a 360 gradi. Una volta che i reperti verranno analizzati con le moderne ed innovative tecniche bisogna confrontare ogni traccia non appartenente ai Santangelo con il profilo di ogni sospettato. Tutti. Anche di quelli non esattamente in cima alla lista dei sospettati, qualora venissero escluse le piste De Laurentiis - Turro.
    Una domanda, Daniele. L'appartamento di via Caravaggio, ossia quello che è rimasto agli eredi dei Santangelo, che tu sappia è stato alterato, ristrutturato completamente? Ossia, (ovviamente se sei a conoscenza di questi dati) sono stati cambiati i pavimenti, buttati giù muri, sostituiti i sanitari del bagno padronale teatro dell'orrore? Perchè se così fosse non si potrebbero reperire più tracce di DNA di persone estranee alla famiglia da comparare con i sospettati.
    Speriamo che tra i reperti conservati ci sia questa risposta che tutti attendiamo.

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  11. Non lo so, Maria, se rispetto al 1975 è cambiato lo stato dei luoghi dell'ex casa Santangelo rimasta nella disponibilità di questa famiglia. Ma suppongo che anche l'altra parte dell'abitazione è all'interno completamente cambiata, o quasi, rispetto a 38 anni fa. Escludo che possa essere di utilità un sopralluogo della Scientifica. Le risposte all'indagine scientifica possono arrivare solo dalle analisi di laboratorio sui reperti prelevati, allòra, dalla casa del triplice delitto. Come, ad esempio, l'asciugamano macchiato di sangue (sul quale, 6 mesi fa, sono terminati gli esami).

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  12. Scusami se ti sto riempiendo il blog di commenti e di domande (di alcune delle quali, ovviamente, non puoi sapere le risposte), ma seguo moltissimo questo caso e vorrei tanto che si giungesse alla verità... Certo, tu di più!
    Ero forse troppo ottimista sulle e eventuali tracce nell'appartamento dei Santangelo perchè innanzi tutto il sangue non si elimina facilmente, anzi non se ne va mai. Per quello chiedevo se, ad esempio i sanitari o i pavimenti fossero stati cambiati. Inoltre il fatto che da allora non pare non ci abbia mai abitato stabilmente nessuno può essere di "aiuto" a scapito dei 38 anni trascorsi....
    Forse il mio è eccessivo ottimismo, e mi rendo conto che ora è necessario ripartire dai reperti conservati sperando che qualche risposta arrivi, ma senza questa spinta, questa fiducia, molti di voi non sarebbero neanche arrivati dove siete, considerando gli anni trascorsi e la mancanza di figure dell'epoca che oggi possano essere utili alle nuove indagini

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  13. Un altro dettaglio mi è venuto in mente riguardando la trasmissione Telefono Giallo. Il dott. Mincione, della Polizia Scientifica, che fece il sopralluogo ed i rilievi in via Caravaggio, disse un paio di cose a mio avviso interessanti.
    1. L'assassino aveva pulito la lama del coltello sulla tovaglia del tavolo della cucina e dai rilievi sembra che la forma della lama non corrispondesse con nessuno dei coltelli rinvenuti nella cucina dei Santangelo. L'assassino, dunque, poteva essere armato? (Di coltello, intendo, magari uno di quelli "a molletta"?)
    2. Sul davanzale furono rinvenute, oltre alle macchie di sangue di cui sappiamo, anche tracce del plaid, non so se forse lo stesso con cui l'assassino trascinò Gemma Cenname nel bagno. Usò un plaid per lanciare le armi del delitto al complice che lo attendeva sotto? Si sa a che ora chiudesse il locale Il Rifugio? (Quella finestra vi si affacciava sopra, giusto? Scusate ma ho poco senso dell'orientamento dalle descrizioni non sono sicura di averlo capito).

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  14. (1) Per quanto riguarda il quesito numero 2 escludo che l'assassino, da quel davanzale, lanciò di sotto (al complice) le armi occasionali del delitto. In quanto quel balcone consentiva di tenere sott'occhio una parte di via Caravaggio ma non affacciava direttamente sulla strada. Sotto quella finestra, anzi, c'era il cortile esterno del pub "Il Rifugio". Per quanto riguarda l'orario di chiusura di quest'ultimo non è stato possibile risalire a un dato (sono passati troppi anni) ma chi ho interpellato al riguardo mi ha detto che "Il Rifugio" chiudeva sul tardi. Per quanto riguarda il quesito numero 1: il Prof. Bruno Pannain (Medico legale consulente della difesa di Domenico Zarrelli) disse che secondo la sua valutazione tecnica l'impronta di sangue dell'oggetto da punta e taglio trovata sulla tovaglia del tavolo della cucina di casa Santangelo corrispondeva a quella lasciata da un coltello a serramanico, definito "Molletta". Io però ho parlato di persona con un ex agente della Polizia scientifica che partecipò al sopralluogo in via Caravaggio l'8 novembre 1975 sera. Costui ha smentito la valutazione del Prof. Pannain perchè mi ha detto che si trattava dell'impronta di un coltello da cucina: in quanto le tracce consentivano di immaginare un oggetto da punta e taglio con la lama seghettata e con la punta bifida. Ritengo che la spiegazione dell'ex agente della Polizia scientifica è più attendibile in quanto nelle motivazioni della sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Napoli c'è scritto chiaramente che le dimensioni e le caratteristiche di quella impronta non sono compatibili con le dimensioni e le caratteristiche di una "Molletta". C'è scritto infatti in sentenza che: "L'impronta rilevata sulla tovaglia è più larga e tozza della lama della molletta. Si rileva che la lama presente sulla tovaglia non ha alla base due codette laterali simmetriche ma si allunga fino al manico (che non lasciò tracce), come si nota integrando idealmente il perimetro di essa lungo il taglio e il dorso. Già a metà lama la larghezza è maggiore di quella di una molletta". Per ottenere una doppia sicurezza, la Scientifica effettuò delle misurazioni: partendo dall'impronta della punta calcolarono la larghezza della lama dell'oggetto impiegato dall'assassino. Vennero fuori i seguenti valori: "Impronta sulla tovaglia: 0,71 - 1 - 1,28 - 1,42 - 1,57 - 1,71 - 1,85" / "Molletta: 0,6 - 0,85 - 1,1 - 1,25 - 1,3 - 1,35 - 1,4". Quindi, come vedi, l'oggetto da punta e taglio impiegato dall'assassino ha dei valori molto più grossi di quelli di una Molletta. Dice ancora la sentenza, al riguardo: "All'attaccatura della lama col manico, inoltre, l'impronta è larga cm 2,14, la molletta solo cm 1,6".

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  15. (2) Per quanto riguarda, invece, le considerazioni del Dr. Mincione: il Dr. Mincione disse (nel processo Zarrelli di primo grado e a Telefono Giallo) che è da escludere una compatibilità tra l'oggetto da punta e taglio impiegato dall'assassino e uno dei vari coltelli presenti nella cucina di casa Santangelo. Questa si è rivelata essere, invece, una valutazione discutibile e che difatti è stata censurata dalla Corte d'Appello di Napoli in sentenza. In altri termini: il Dr. Mincione si è sbagliato o quanto meno può essersi sbagliato. Poichè: in cucina fu trovato e fotografato un coltello con il manico bianco (in uso alla famiglia Santangelo) che per le sue caratteristiche risultò verosimilmente compatibile con l'arma da taglio impiegata dall'assassino. Quindi: ci doveva essere in cucina un "doppione" dello stesso coltello, utilizzato dall'assassino e poi portato via assieme al corpo contundente. Cito testualmente dalle motivazioni della sentenza: "E' il caso di aggiungere che quella che sembra l'impronta della codetta (la traccia della lama termina con una grossa "T" obliqua e rovesciata) è dovuta al tipico attacco della lama al amnico, simile a quello che si nota nel coltello col manico bianco del rilievo fotografico numero 36 contenuto nel vol. 7°, cartella IV che, per le dimensioni verificate col solito sistema della scala centimetrica e per l'evidente affilatura, potrebbe anche essere quello usato per lo sgozzamento delle vittime, nonostante l'immotivata esclusione fatta dal Dr. Mincione, della Polizia scientifica, nel dibattimento di primo grado. Se pensiamo al coltello poggiato sul tavolo con la parte più massiccia (la costola) verso destra, spieghiamo la obliquità dell'impronta dall'alto in basso e da sinistra a destra e la maggiore impressione del lato destro, perchè esso - in quanto più pesante - venne a trovarsi a più stretto contatto con la tovaglia". Quindi possiamo legittimamente concludere che l'assassino, con molta probabilità, non fece uso di una Molletta ma di un coltello da cucina presente in casa Santangelo, identico ad uno che è stato lì trovato e fotografato dalla Scientifica e le cui caratteristiche corrispondono all'impronta lasciata sulla tovaglia del tavolo della cucina dall'arma bianca impiegata dall'assassino per colpire le tre vittime nella seconda fase dell'aggressione omicida. Quindi c'è la doppia conferma di un delitto casuale e non premeditato. E l'esclusione di una molletta è un dato che depone, su questo punto specifico, a sfavore della pista-Turro.

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  16. Accidenti Daniele ogni volta che rispondi ai miei quesiti/dubbi/richiesta di informazioni, tu arricchisci il blog con una quantità di materiale nuovo, dettagliato e con notizie a tratti sconvolgenti che confermano comunque quello che ho sempre pensato: mai fermarsi in superficie ed andare a fondo. Ma anche bisogna imparare a dare il giusto peso a quello che si apprende in tv. Anche sulla strage di via Caravaggio sono state dette molte inesattezze nei programmi a cui abbiamo aassistito. Ad esempio a Blu Notte avevano affrontato la questione della scomparsa prima e ritrovamento poi dell'auto del Santangelo come se fosse un mistero. Invece apprendo successivamente dal tuo blog che l'auto l'aveva lasciata il Santangelo stesso vicino al negozio del suo amico commerciante poiché era in avaria. Altro dettaglio a conferma di ciò fu che il portiere Putti notò già alle 19.00 del 30 ottobre stesso (quando i Santangelo erano ancora vivi) che la Fulvia in questione non era nel parcheggio condominiale. E lo stesso vale per l'intervista a Telefono Giallo del dott. Mincione, la cui affermazione sul presunto coltello compatibile o meno con quelli di proprietà della famiglia utilizzato per lo sgozzamento, ovviamente sposta il baricentro delle indagini. Non essendo io in possesso della documentazione che hai tu, non ho avuto motivo di dubitare delle parole di un commissario proveniente dai reparti della Scientifica della Polizia di Stato. Anche per quanto riguarda le indagini ci sono indubbiamente degli errori, delle inesattezze e delle lacune che hanno deviato inesorabilmente e tragicamente il corso della giustizia, con il risultato che tutti conosciamo.
    A conferma di ciò, se la testimonianza della sig.ra Simonelli sulla presunta seconda persona intervenuta sulla scena del delitto in un secondo momento non è stata messa agli atti, la tesi dell'accusa di allora sulla follia omicida di Zarrelli che avesse agito da solo ha trovato terreno fertile. Forse la signora Simonelli non ne era sicura: bisogna considerare che erano le 3.00 di notte e fu svegliata di nuovo dopo metà nottata passata insonne, quindi ipoteticamente la signora era in uno stato di dormi-veglia.
    Pensa se la povera sig.ra Simonelli o la sig.ra Putti, infastidite dai rumori che non le facevano dormire, si fossero alzate per andare a protestare con i "vicini rumorosi"... Magari oggi conteremmo una vittima in più!
    È vero che 40 anni c'era poca gente che faceva lavori "notturni" e che alle 5.00 del mattino aveva ben poche probabilità di essere visto mentre usciva dall'edificio di via Caravaggio (oggi, ad esempio, le persone escono di casa ad orari irregolari, molta gente lavora con i turni spesso con orari disagiati). Però come ha fatto a portare fuori la "statuetta" (l'oggetto contundente usato per la prima fase dell'aggressione) ed il coltello. Nel senso, per quanto gli sia andata bene a non essere visto da nessuno, non credo che se ne andasse in giro con un oggetto contundente ed un coltello gocciolante di sangue e, come se niente fosse, ha preso la rampa di scale o l'ascensore (non so se quello stabile allora ne fosse dotato) ed è sceso verso il portone di uscita. Che tu sappia, avvalorando la tesi dell'omicidio non premeditato, da casa Santangelo mancava per caso che so? uno zaino, una ventiquattr'ore?

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  17. (1) Nelle trasmissioni televisive (anche in quelle qualitativamente migliori) possono sempre capitare imprecisioni narrative. La Cronaca-Tv (anche quando è di buona qualità) non può mai essere considerata la riproduzione precisa di ciò che è contenuto negli atti documentali di una indagine e di un iter giudiziario. La tua ipotesi in merito alla dichiarazione della sign.ra Simonelli verbalizzata nel 1975 mi trova d'accordo: penso anch'io che la signora preferì forse non far mettere a verbale il dettaglio dei passi di due persone (tra le 3:00 e le 5:00 del 31 ottobre) perchè non ne era sicurissima (fu una impressione - una sensazione). Quindi ritenne saggio far verbalizzare solo ciò di cui si sentiva certa. Però, allo stesso tempo, ha fatto benissimo oggi suo figlio, Santino Simonetti, a rendere pubblicamente noto questo dettaglio (che certamente emerse tra le sue mura domestiche - parlando, tra loro in famiglia, di quella terribile notte). Ha fatto bene a rivelare questa impressione, questa sensazione che sua madre avvertì nella seconda parte di quella notte. Perchè adesso può tornare utile questo particolare e può aiutare a rileggere con più attenzione i fatti. Sicuramente l'assassino, lasciando definitivamente casa Santangelo, occultò le due "armi" occasionali impiegate per compiere il triplice delitto. Cercò in casa una custodia e vi mise dentro il corpo contundente e il coltello da cucina. Almeno andando via è probabile che l'assassino (e il suo eventuale complice) presero l'ascensore per tornare al pian terreno del palazzo e guadagnare il portone principale. Da una fotografia scattata al centro del pianerottolo del quarto piano di via Caravaggio 78 la sera dell'8 novembre 1975, e pubblicata il 9 novembre ne "Il Mattino", si evince che l'ascensore già esisteva all'epoca in quel palazzo.

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  18. (2) Questione-auto: per lealtà e obiettività devo ricordare che è una ipotesi, Maria, che l'auto di Domenico Santangelo fu lasciata dalla stessa vittima in via Saverio Baldacchini la mattina del 30 ottobre. Però è una ipotesi a mio giudizio verosimile: dal momento che l'auto (che era parcheggiata con tutte e quattro le ruote su un marciapiede) non presentava tracce sospette (nè nell'abitacolo nè sulla carozzeria), dal momento che il portiere condominiale di via Caravaggio 78 (Ugo Putti) dichiara agli inquirenti di aver notato l'assenza della vettura dal garage del suo palazzo già nel pomeriggio del 30 ottobre; dal momento che la mattina del 30 ottobre Domenico Santangelo prese l'auto e andò a trovare un suo amico (Federico Corrado) poichè questi stava inaugurando in quei giorni un suo negozio di abbigliamento, in via Medina (via Medina e via Baldacchini non distano molto tra loro - 1 chilometro e mezzo - 12 minuti di strada a piedi / è nella stessa zona di Napoli). Gli inquirenti invece pensarono che fu l'assassino a portarla lì perchè non tennero conto (o ritennero dal loro punto di vista non significativi) questi dati e perchè un testimone (il sarto Eugenio Laudicino) raccontò di aver incrociato in via Caravaggio (la notte del 31 ottobre - dopo l'1:00 del mattino) una Lancia Fulvia rossa, che scendeva a gran velocità dalla zona in cui era localizzato il palazzo della strage. All'inizio gli inquirenti pensarono addirittura che l'assassino l'avesse portata in via Baldacchini per la vicinanza con il porto di Napoli: perchè da lì si sarebbe poi imbarcato lasciando la città via mare. Quando il teste Laudicino fornì una descrizione della persona che guidava quest'auto e quando in Questura (convocato come tutti i parenti delle vittime) si presentò Domenico Zarrelli, gli investigatori rimasero sorpresi e suggestionati dall'incredibile compatibilità tra il tipo descritto dal teste e la persona fisica dell'ex imputato. A questo si aggiunsero altri quattro elementi: 1-Laudicino disse di aver incrociato l'auto dopo l'1:00 del mattino. La signora Simonelli e la signora Putti (inquiline del palazzo) raccontarono che all'1:00 cessarono o comunque si affievolirono fino a scomparire passi e rumori in casa Santangelo 2-L'auto aveva la batteria scarica e fu accertato che erano rimaste accese le luci di posizione 3-Un guardiamacchine di via Baldacchini disse di aver notato la Fulvia del Santangelo solo dal 3 novembre 4-Il posto in cui la Polizia trovò parcheggiata l'auto il 10 novembre corrispondeva ad una zona di Napoli in cui Domenico Zarrelli era solito fermare la propria auto. Quindi pensarono: Domenico Zarrelli (che si è recato in via Caravaggio senza la propria auto) ha compiuto la strage - all'1:00 del mattino ha lasciato via Caravaggio con l'auto del marito di sua zia - non per caso l'ha portata fino in via Baldacchini. Perchè in via Baldacchini c'era parcheggiata la sua (di Domenico Zarrelli) vettura. Ha parcheggiato la macchina del Santangelo lasciandola con le luci di posizione accese (da quì, la batteria che si scarica); ha preso la sua; è tornato a casa.

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  19. (3) La testimonianza del sarto non permette però di mettere punti fermi: Laudicino disse che c'era una somiglianza tra Zarrelli e l'autista della Fulvia ma non potè dirsi certo (non fu possibile identificarlo) perchè aggiunse, con chiarezza, "Non potrei però riconoscere con certezza questo automobilista qualora mi venisse mostrato in seguito". Il Laudicino disse che la Fulvia da lui vista era rossa e presentava una fiancata scura, come se vi fosse una striscia nera che correva lungo lo sportello. Che la macchina da lui vista si presentava realmente così o che furono impressioni visive sbagliate, sta di fatto che la Fulvia del Santangelo era invece amaranto ed era di colore uniforme. Fu compiuta poi una verifica in via Caravaggio al termine della quale si accertò che, alla guida di una Lancia Fulvia berlina, Domenico Zarrelli non riusciva a stare seduto comodamente al volante (data la notevole altezza di lui) e che il suo viso lo si poteva mettere bene a fuoco solo dal mento in giù (fu un dettaglio importante perchè invece il sarto Laudicino sostenne di essere riuscito a notare i capelli dell'automobilista). A questo punto è ovvio che viene meno anche la certezza sul tipo e modello di auto incrociata dal teste: o vide proprio un'altra auto (che assomigliava alla Fulvia berlina) oppure vide un altro tipo di Fulvia berlina (non quella del Santangelo). Il guardiamacchine di via Baldacchini può essersi sbagliato anche lui quando ha detto di aver fatto caso alla macchina del Santangelo parcheggiata solo dal 3 novembre. A carico di Zarrelli, su questo punto specifico del processo, rimanevano quindi solo tre elementi: 1-Le luci di posizione accese e la batteria scarica (aver guidato l'auto di notte e averle lasciate/dimenticate accese dopo la sosta) 2-Le testimonianze Simonelli/Putti sull'1:00 del mattino 3-Via Baldacchini corrisponde ad una zona di Napoli in cui Domenico Zarrelli era solito fermare la propria vettura. Ma sono tre elementi che non consentono di pervenire (su questa parte specifica del processo) a conclusioni chiare. Non consentono di dimostrare oggettivamente che l'auto fu materialmente presa e guidata da Domenico Zarrelli. E quindi sono tre dati insufficienti per arrivare ad una conclusione a carico. Per quanto mi riguarda sono convinto che l'assassino andò con un proprio mezzo di trasporto in via Caravaggio. E, con questo, si allontanò dal palazzo. E non all'1:00 ma alle 5:00 del mattino.

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  20. Informo i miei lettori che il dott. Giovanni Melillo non è più il titolare del nuovo fascicolo d'indagine sul caso della strage di via Caravaggio. Il dott. Melillo, infatti, ha recentemente ottenuto un incarico presso il Ministero della Giustizia. Il nuovo Procuratore aggiunto di Napoli è il dott. Giuseppe Borrelli. Di conseguenza, dovrebbe essere passato nelle mani del dott. Borrelli il fascicolo sul caso.

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